Le fragilità umane sono il risultato di interferenze socioculturali nei confronti di involucri verginali ancora inespressi, che impediscono e in qualche modo fagocitano un libero arbitrio sulle attitudini nel divenire, e pregiudicano di fatto l’identità dello spazio vitale dentro cui l’individuo si muove.

L’anfitrione Lemon Julce accoglie gli ospiti di Cliché invitandoli a esprimere su un foglietto frasi o considerazioni in merito a personali debolezze, gracilità, traumi che hanno condizionato le rispettive esistenze. Un piccolo pegno anonimo da deporre in uno scrigno che viene ricambiato con un nastro rosso, l’emulo di quegli stessi frammenti esperienziali da consegnare a sua volta, all’interno dello spazio performativo, all’altra artista, Drunkenrabbit, con il quale lega l’interprete di un’immanente creatura ancora incorrotta e non trasfigurata dalle contaminazioni sociali, destinata a muoversi sempre più lentamente e ad assorbire le tensioni pregiudiziali degli astanti.

Cliché è il risultato di una rivelazione totemica rovesciata, dove al posto del sacrale viene esposto il difetto, l’angoscia primigenia, le debolezze della “tribù” costituita dagli osservatori. Qui il pubblico non è solo partecipe per presenza passiva e non è nemmeno in semplice interazione con lo spazio nel limes di un percorso precostituito, ma è il vero autore dell’esposizione performativa e dei contenuti richiamati dal movimento scenico della danzatrice, coadiuvati da frasi e narrazioni di testimonianze reali, quale tappeto sinergico di una tensione emotiva in fluttuazione.

Si può addirittura azzardare la creazione di un esorcismo collettivo, o un segno del profondo caro al voodoo nella dimensione di una spiritualità laica che si depura dagli influssi avvelenati della convenzione, atto liberatorio che le artiste Lemon Julce e Drunkenrabbit, pseudonimi di Giulia Zorzella e Linda Ferrari, hanno saputo creare nel suggestivo Spazio AlbertoAperto in questa esibizione dedicata agli stereotipi di genere e il loro superamento.

Claudio Elli

“Clichè”, Il Tempo delle Donne, Spazio Alberto Aperto, Milano

Donami un po’ del tuo tempo. Ne farò qualcosa di buono, o di cattivo o non farò nulla.
Lo conserverò e lo userò un giorno per potermi dedicare all’ozio, alla noia.

Gli elementi fondamentali per l’atto creativo, un atto di pura messa in forma di qualunque materiale o concetto. La forma che si può dare può essere anche quella di un lungo cordone ombelicale, lentamente cucito da una ragazza in abito bianco. Seduta al centro di un piccolo cortile circondato da rampicanti, Drunkenrabbit intreccia con i ferri due fili rossi.

L’allungarsi di questo cordone scandisce il nostro tempo. Di fronte a lei, all’altezza del suo viso, anche se non li guarda, ci sono il viso di una bambina e quello di un bambino che aleggiano all’interno di due bianche light-box. Opere di Matteo Suffritti incisore fotografico che ha smesso da tempo di usare la camera, strumento per lui limitante, per dedicarsi ad altre strategie che lo aiutano a tornare indietro nel tempo della memoria. Suffritti racconta di un album fotografico il cui movimento è azionato da una manovella che chiama in causa, per esistere, una mano, un braccio, un corpo.
Sono i corpi, maschili, femminili, androgini, di bambino o di adulto, ad essere i fili che, una volta intrecciati producono delle forme vitali, come quelle nascoste tra le foglie delle piante.

Intrecci rossi, prodotti in sette, dieci, venti minuti, a noi donati, una volta che li avremo disfatti e portati con noi. Li useremo come vorremo: guardando le fotografie di anni fa, cercando di ritrovarci, di trovare delle tracce di ciò che siamo. Un intreccio che ogni giorno si fa più fitto, come la vegetazione che potrebbe coprire Drunkerabbit intenta a fare a maglia in un tempo infinito, in compagnia di due giovani compagni che rischiareranno la sua notte.

Silvia Marzorati per Walk in Studio

“Quante volte abbiamo aspettato invano”, Ted Milano, Milano

Dietro quegli occhi sgranati, dietro quelle mani esili e operose, sentiamo il respiro di certi paesaggi persi nella memoria, nei quali sono le presenze femminili a dare senso, l’unico possibile, agli accadimenti. Figure magari solo contemplative, figure raccolte in preghiera, o prese in atti quotidiani in apparenza insignificanti e invece no. Oppure vere testimoni, se non parti in causa, di eventi terribili e senza rimedio: chissà se prima, dopo o durante l’ineluttabile incontro amoroso. Sorella cattiva della dolcezza, lo sappiamo bene, la crudeltà è sempre lì, implacabile, pronta a colpire. Così noi guardiamo il mondo di Linda Ferrari e cogliamo in lei, ammirandola, la grazia del miniaturista che a quel mondo ha dato vita sulla superficie delle carte e delle tele. Se ci concentriamo un po’, basta volerlo, in controluce cosa scorgiamo?

Echi surrealisti, certo. Lontane sfumature nazarene, quando è la stupefazione dei pittori del Lukasbund per la sacralità cattolica a creare, attraverso cortocircuiti temporali, quadri di pura, virginale innocenza. Più oltre ancora, i baratri oscuri del Seicento, illuminati da inscindibili lampi di violenza e serenità.

Questi contrasti noi vediamo, o ci sembra di vedere, quando guardiamo i lavori di Linda Ferrari. È una pittura disegnata, con tutta la forza che il disegno, inteso come vibrazione di linea e di tratto, può esercitare sulla parte del colore. Arte che riteniamo essere molto d’oggi perché ha le giuste tangenze con quella bolla metafisica che è il tempo presente, la misteriosa entità in cui siamo e agiamo noi, intrappolati senza possibilità di fuga, tra le inquietudini del passato e quelle del futuro.

Behind those big eyes, behind those tiny and hardworking hands, we perceive the breath of certain landscapes lost in her memories, in which the female presence is the one giving meaning to everything that happens. Characters that are not only contemplative, there are characters that are praying, or depicted in everyday activities which might seem insignificant, but are not. We also see real witnesses or maybe perpetrators of terrible, unresolvable events: who knows if before, during or after the inevitable love encounter.

Sweetness evil sister, as we know, cruelty is always present, relentless and ready to strike. This is how we look at Linda Ferrari’s world, with great admiration. We admire the grace of the miniatuism and how she brought that world to life on her papers and canvases.

If we try and focus, what do we detect? Echoes of Surrealism. Distant Nazarene shades, when it is the amazement of the Lukasbund painters for the catholic sacralism that creates paintings that are pure, innocent and virgin. Furthermore we see the darkness of the 6th century, illuminated by indivisible thunders of both violence and serenity. When we look at Linda Ferrari’s work, this is what we see or we think we see. 

The painting is drawn, with all the intensity that the drawing, intended as the vibration of the line and the sketch, can imprint on the color. Art that we feel is very current because it has the right interaction /contamination with the metaphysical bubble of today’s world, the mysterious entity in which we live and act, trapped without a way out, between the restlessness of the past and that of the future.

Massimo Martignoni, Professore e curatore

Lo specchio è la porta di Alice, evocativo dello stagno in cui si getta Narciso, simbolo di vanità eppure suggello di quella perfezione che vuole la completezza dell’anima attraverso l’unione delle proprie identità maschile e femminile. Drunkenrabbit, nome d’arte di Linda Ferrari, costruisce la gabbia alchemica in cui l’aspirazione all’unità, che già l’acrilico su tela del 2011 Your Judgement is Irrilevantcelebra con un bacio lesbico, si misura con il suo opposto, il “diabolos” della divisione, che può portare, come nel recentissimo dipinto Salomè, alla propria decapitazione, seguendo il destino che fu di San Giovanni Battista.

La Cage Dorée, nata in collaborazione con la home gallery L’Oeil di Valentina Guasconi, è la prima personale allestita nella dimora dell’artista. Linda Ferrari apre così gli anfratti del suo universo creativo, associando lavori già conclamati a una nuova collezione, tutte opere legate da un comune tessuto conoscitivo, quello dell’indagine introspettiva che precede la rivelazione. Alcuni ricami e gioielli completano l’esposizione non come semplici oggetti di corredo, ma ingredienti catalizzatori del percorso artistico.

L’elemento surreale e pop è il terreno scelto dall’autrice per creare una riflessione sull’esistenza. La sua perfezione è rinchiusa nell’involucro dorato della propria insostenibilità ed è conseguentemente foriera di un conflitto e rimando tra opposti, che solo una chiave di volta, richiamata dall’emblematico dipinto del 2014, può governare in noi. L’equilibrio non è dunque dato dal raggiungimento di cuna “pax” esteriore e soporifera, ma dal ritmo oscillatorio tra il desiderio di una voluttà eterna e le inquietudini di una dimensione oscura che alberga dietro i ripostigli della nostra psiche.
Una mostra suggestiva, non scevra da trasgressioni, di certo testimone di un’evoluzione del percorso artistico di Drunkenrabbit, dove la ricerca è l’odissea perpetua tra le arterie di una sempre rinnovata consapevolezza.

The unsustainability of perfection.
The latest Drunkenrabbit exhibition researches the complexity of the soul and its dark side.
The mirror is Alice’s door, which is evoked by the lake in which Narcissus dives; it is a symbol of Vanity but also the seal of that perfection that sees the wholeness of the soul be completed by the union of the masculine and feminine identity. Drunkenrabbit, Linda Ferraris artistic name, builds that alchemic cage in which the aspiration of unity (as portrayed in the 2011 Acrylic on canvas “Your Judgment is Irrelevant” celebrated with a lesbian kiss) is confronted with its opposite: the “diablos” of division which can lead to being beheaded, following in San Giovanni Battista’s footsteps and his destiny, as in the more recent “Salomé “painting.

La Cage Dorèe originated thru the collaboration with the home gallery L’Oeil by Velantina Guasconi, It is the first exhibition in the artist home. Linda Ferrari opens up her creative universe, combining her already successful work with some new creations. They are all connected by a common inquisitive thread, that introspective inquisition that precedes the revelation.

There are also some jewels and embroideries which serve not only as complements, but are vital and catalyzing ingredients of the artistic journey.

The surreal and the pop elements shape the arena chosen by the artist in order to reflect on our existence. The perfection is enclosed in the golden casing of our own unsustainability and it is the source of a conflict and reference between opposites. Only one key at a time, as suggested by a symbolic painting form 2014 “La chiave di volta” can guide us. Balance is not given by an exterior achievement and a soporific “pax” but it is given by an oscillatory rhythm between the desire for eternal pleasure and the concerns of a dark dimension that is our psyche.

An evocative exhibition, not without transgression, witness of the evolution of the artistic path of Drunkenrabbit

Claudio Elli, Giornalista
“La Cage Dorèe”, Drunkenrabbit Studio, Milano

Ci sono scrittori, musicisti, autori, artisti, la cui immagine fisica ed esistenza privata sono quanto mai diverse dalle opere che creano. E ci sono invece quelli che loro e la loro opera sono quasi indistinguibili. Confesso di provare molta più sintonia e simpatia con questi qui: per quanto posso ammirare una grande opera, sono ancora più ammirato dalla qualità e dalla stessa funzione umana e vitale. Ecco, Linda Ferrari è così: vedi lei, vedi le cose che fa, e non ti verrebbe mai il sospetto che quelle cose lì possa averle fatte qualcun altro. I suoi lavori la esprimono, la raccontano, la rispecchiano. Sono iperfemminili non semplicemente perché Linda ha scelto il femminile come suo tema elettivo, e neanche soltanto perché è il suo stesso tocco a essere femminile, aggraziato, leggero: credo piuttosto sia questione di biologia, di una relazione diretta fra mente, corpo, mano, sesso, attitudine, modo di parlare e di muoversi e di comportarsi. Se le cose che Linda crea sono esteticamente così deliziose, è proprio perché non sono soltanto estetiche. Alla fine, forma, bellezza, contenuto, talento, tutto queste cose sono innanzitutto espressioni vitali. Ricchezza vitale, è di questo che –al di sopra di tutto il resto- si tratta.

There are writers, musicians, authors, artists, whose appearance and private life are extremely different from the works they create. And then there are those who are almost indistinguishable from their works. I confess that I feel much closer to this latter group: as much as I can admire a great work, I admire even more the quality and the human and the vital function of that work.
Here comes Linda Ferrari: you see her, you see what she does, and you would never suspect that those things might have been made by someone else. Her works express herself, they’re related to her, they reflect her. They’re extremely womanish not only because Linda has chosen the feminine as her elective theme, and not only because it is her own touch to be feminine, graceful, soft: I rather think it’s a biological issue, it’s a direct relationship between mind, body, hand, sex, attitude, way to talk, move and behave. If the works that Linda creates are aesthetically so lovely, it is because they’re not just aesthetic. In the end, form, beauty, content, talent, all of these things are first of all vital expressions. Here is what it is above all- richness of life.

Franco Bolelli, Filosofo e scrittore

Spesso si ha la convinzione, purtroppo dettata da facili e superficiali pregiudizi, che gli artisti vivano in un mondo a parte, estraniati, addirittura per scelta, da quella che è la realtà tangibile di ogni giorno. Al contrario è proprio la condizione precaria dell’artista a imporgli di fare esperienza del mondo contemporaneo, che diventa quindi fonte di ispirazione e soggetto delle opere che ciascun artista crea. Drunkenrabbit (pseudonimo di Linda Ferrari, Brescia, 1986) è una di queste: vive e corre nel mondo futuristico della metropoli che sale, osservandone e captandone i paradossi e le incongruenze, trasformandoli in una sorta di mondo delle fiabe parallelo, in cui l’agognato lieto fine non è mai scontato.
Questa ricerca prende vita attraverso delicate figure femminili, costrette a camminare sul sottile limes tra l’essere e l’apparire, tra individuo e persona. Nella cultura greca, la persona era la maschera che gli attori di teatro usavano per trasformarsi in un determinato personaggio, ovvero impersonarlo.
Le efebiche fanciulle, create dall’artista, indossano una maschera: celano deliberatamente la loro vera ed essenziale identità nel disperato tentativo di essere finalmente considerate brave ragazze, di non mostrare “scandalo” comportandosi secondo la loro natura. Non si tratta di femmes fatales, ma di giovani donne che per sopravvivere scendono a compromessi che minano la loro stessa singolare individualità. Talvolta, guardandosi allo specchio, non si riconoscono più e sembrano lasciarsi cadere in vortice di grigia e plumbea neutralità.
Nell’ultimo periodo l’immaginario di Drunkenrabbit si carica di una nota più cupa, pur mantenendo intatto lo stile in punta di pennello, lieve e fiabescamente surreale: non sono più i rassicuranti racconti della buonanotte ma finestre su un mondo così assurdo da essere estremamente reale.
Le ninfette interpretano momenti in cui è possibile riconoscersi, stati d’animo familiari allo spettatore contemporaneo, che si immedesima e riflette sulle maschere che indossa costantemente, anche in quel preciso momento, per essere come società vuole.

It is often believed, due to superficial prejudice, that artists by choice live in a separate world, estranged from everyday reality.
To the contrary, it is the precarious condition the artist lives in that makes him have a certain experience of the contemporary world, which inevitably becomes the source of the inspiration and subject of the work each artist creates. Drunkenrabbit (artistic name of Linda Ferrari, Brescia, 1986) is one of these artists: she lives and experiences the futuristic city life, observing and capturing its paradoxes and contradictions and transforming them in a parallel fairy tale world where the longed for happy ending is never taken for granted.
This journey comes to life thru delicate feminine figures that have to walk the thin line there is between being and appearing, between the individual and the person. In Greek culture the Person was the mask that the theater actors used to transform themselves into a specific character.
The ethereal girls created by the artist wear a mask: they deliberately show their true essence and identity in the desperate attempt to be considered good girls and not convey any sort of scandal, behaving according to their nature. They are not Femmes Fatales, but young girls that have to compromise in a way that jeopardizes their own individuality in order to survive. At times they don’t recognize themselves when they see their reflection in the mirror and they seem to let themselves fall into a vortex of dark indifference.
In the last period the imaginary world of Drunkenrabbit takes on a darker vibe, even if the brush stroke stays true to its stile, gentle and surreal like a fairy tale, they are no longer the comforting good night stories, but windows on to a world that is so absurd it is extremely real.
The girls portray moments and situations we can identify with, emotions the contemporary observer is familiar with and which make him reflect on the masks we constantly wear in order to be like society wants us.

Ester Baruffaldi, Co-founder No Title Gallery
“The Good Girl”, Teatro San Domenico, Crema, CR

Lo stile della pittrice richiama suggestioni fiabesche very British, come del resto il nome d’arte suggerisce, ma in realtà il riferimento ad Alice e la sorella “cattiva” di Bianconiglio è solo un pretesto, il contenitore virtuale che permette la rivisitazio- ne del mondo con l’occhio indagatore di chi ha passato il confine della fantasia per raggiungere quello degli uomini. Gli acrilici su tela sembrano specchiare l’autrice nella sua visione dell’universo, e la femminilità preponderante è l’elemento sostanziale che permette l’esplorazione dei soggetti interpretati. Quello di Linda Ferrari è la descrizione di un mondo in cui la magia è in fondo una diversa percezione del reale o, come l’installazione Impossible “white scared heart” sembra proporre, con decine di chiavi appese sopra un cuore bianco dello scultore Emanuele Alfieri, uno strumento di lettura, che può aprire lo scrigno dell’anima e mostrare l’infinito presente in tutti noi.

The style of the painter recalls British fairy suggestions, as her stage name
suggests, but in fact, the reference to Alice and the white rabbit evil sister is just a pretext, the virtual container that allows the review of the world with an inquiring eye of those who have crossed the line of the imagination to reach men’s world. The acrylic on canvas seem to mirror the author in her view of the universe, and the preponderant femininity is the key that allows the
exploration of the interpreted subjects. In Drunkenrabbit’s world the magic is basically a different perception of reality, or, like her installation “ White Sacred Heart “ seems to propose, with dozens of keys hanging on a white heart of the sculptor Emanuele Alfieri, a reading tool, which can open the soul’s trunk and show the infinite present in all of us.

Claudio Elli, Giornalista
“Your Judgement is Irrelevant”, De Wallen Industry, Milano